Gli invidiosi

Sarebbe facile dire che chi soffre di invidia soffre e ben gli sta. Così come sarebbe facile pensare che lo si riconosca agire con chiunque. Stava male, ma grazie all’invidia sta meglio. E’ invidioso, ma non di tutti, e si mimetizza perfettamente perché, miei cari, i tempi sono cambiati e, benchè i disturbi caratteriali e mentali siano rimasti più o meno uguali, è il modo di manifestarli ad essere diverso.

L’invidia è un sentimento generato dalla frustrazione, quel tipo di frustrazione che non ha molto a che vedere con la realtà, bensì con se stessi. Ci sono persone che per non soffrire invidiano, e, prima ancora, che per non soffrire si sentono frustrati. Una sorta di circolo vizioso che si autoalimenta e trova conferme sia nella visione distorta della realtà (vittimismo, colpevolizzazione degli altri) sia nell’attacco diretto e/o indiretto verso chi viene a contatto con la categoria degli invidiosi. A mio parere l’invidia pura è un disturbo mentale, benchè invece non sia catalogato come tale. Lo è nel momento in cui è disfunzionale e rigido, sorto dall’ incapacità di gestire le proprie emozioni e distorce le relazioni cercando costantemente il capro espiatorio o anche trovandolo a caso, ma non uno quaslsiasi, proprio quello, quello che a loro infastidisce e non riescono a controllare come vorrebbero. Di solito le persone invidiose sono anche pettegole e morbose, cioè trascorrono molto tempo in silenzio a spiare e fare congetture per poter costruire un muro di mattoni pronti da scagliare. Non necessaiamente l’invidioso vuole avere più cose, più soldi, più amore. Non necessariamente invidia “cose” a quella persona con la quale se la prende. Queste sono le evidenze di cui parla o che lascia trapelare. Le altre, molto nascoste, e quasi sempre nascoste anche a lui o lei, hanno a che fare prima di tutto con la frustrazione dei bambini piccoli, sì proprio quella. Mai superata con la maturità.

Gli invidiosi perciò sono persone capricciose, innanzitutto, che possono tacere per molto molto tempo e poi di colpo parlare a raffica e dire cose orribili che mai ti saresti aspettato. O alzare la voce, o parlare per coprire le tue risposte, o non dire assolutamente niente a te ma farti piccole, continue vendette che è ben difficile non chiamare provocazioni. Può scriverle per mail, o addirittura mettere su Facebook in forma indiretta i pensieri rancorosi che ha covato a lungo. Gli invidiosi non possono che essere anche vigliacchi. Parlano a te, a te che non sei frustrato (ma non necessariamente felice o che hai tutto) , a te che hai mille sentimenti che ti fanno a pezzi, o una vita complicata, ma non sai nemmeno cosa sia l’invidia.

Da piccoli si apprende a superare la frustrazione facendo, non smettendo di fare, non disperandosi o facendo i capricci, ma accettando l’attesa e l’impossibilità di ottenere. Se questa capacità è venuta meno, appena ci si trova nella stessa situazione emotiva, si riattiva. E prtroppo non solo con i capricci tipici dei bambini.

Ed è  qui, nell’essere adulti con infantilità irrisolte, che si scatena la vipera velenosa.

Gli invidiosi covano il loro rancore quotidiano dandosi messaggi continui non di scarsa autostima, come ai più parrebbe, bensì il contrario: io sono il migliore.  Per esserlo però bisognerebbe anche dimostrarlo, e siccome è difficilissimo, se non impossibile, la fantasia si trasforma in attacco a volte maldestro a volte a segno, sotto forma di coltellate affilate  o di veri e propri sproloqui fini a se stessi. Accusatori; sempre. Riflessivi: mai.

La capacità degli invidiosi di darsi sempre ragione e stravolgere i fatti è incredibile. Ho impiegato decenni a capire come riconscerli (e le patologie che spesso accompagnano questo sentimento sottovalutato), ma non ho ancora capito come non farmi coinvolgere nei loro meccanismi.

Gli invidiosi non amano, non vogliono bene, non stimano, non rispettano. Il contrario: controllano, rubano, feriscono, usano. Per difendersi anche da un ipotetico pericolo emotivo, attaccano. Non una, cento volte. Non si capisce nemmeno se vogliono la rottura, ma la generano per poter ottenere la soddisfazione della vittoria.

Dimenticare un figlio, può succedere anche a me?

La giustizia ha cominciato a fare il suo corso, con l’interrogatorio-fiume, fino alle 21 di ieri sera, della mamma toscana che ha dimenticato la figlioletta di 18 mesi in auto, dove ha trovato la morte.
Un lungo interrogatorio è segno che il magistrato ha voluto approfondire bene questa tragedia, così come è un atto dovuto aver disposto l’autopsia sul corpicino della bambina e l’apertura del fascicolo per “omicidio colposo”. La formulazione di omicidio colposo ha escluso, dopo l’interrogatorio, quello doloso, cioè con volontà. Non c’era perciò, secondo il magistrato, nessuna “scelta” di compiere un gesto che avrebbe per forza di cose portato la piccola alla morte, essendo l’auto a finestrini chiusi e sotto il sole. L’autopsia dirà esattamente l’orario della morte ma si può già ritenere che sia sopraggiunta non in sei ore, ma in tempi molto più rapidi e, unica consolazione, senza grande sofferenza: i bambini così piccoli piangono e si addormentano, passando in questo caso dal sonno alla morte che è sopraggiunta per arresto cardiaco.
La notizia, come tante altre che riguardano i bambini, ha suscitato reazioni forti in Italia. Gli psichiatri hanno spiegato (e non è la prima volta che lo fanno) che quanto è successo alla giovane mamma, dipendente comunale di rilievo e responsabilità, è un ìa sorta di corto circuito della memoria, una amnesia dissociativa temporanea dovuta allo stress. Lo stress è emotivo, è bene continuare a ricordarlo, per non confonderlo con la fatica fisica di fare tante cose anche in contemporanea, cui le donne sono molto più abituate degli uomini e ce la fanno anche in condizioni difficilissime. Si pensi solo a chi ha i gemelli e lavora e magari non ha un marito, o a chi fa due lavori e ha figli piccoli a casa affidati al più grande. A chi ha un marito assente per lavoro (e per irresponsabilità) o che ha un’amante e dei figli gli importa solo alla domenica. Perchè dunque quasi tutte le donne ce la fanno e alcune no? Sono una minoranza le donne che, sottoposte a forti e continuati stress emotivi (troppa responsabilità e poca percezione di poterla scaricare) pensano molto, anche prima di addormentarsi e pensano negativamente, coltivando il circolo vizioso del “ce la devo fare ad ogni costo” anzichè il più sano e consapevole “non ce la faccio sempre”. Pensano al mattino appena sveglie, con poche ore di sonno alle spalle, e al primo imprevisto che imprevisto in realtà non è quando si hanno figli che camminano da poco, dipendenti ma non totalmente come i neonati (la maggior parte dei casi di figli dimenticati in auto è nella stessa fascia di età) e più problematici da gestire. Fino ai due anni e mezzo il peso è enorme, ma lo è diventato sempre di più nelle società della “distrazione”. Qualcuno ricorda un video scioccante di una madre cinese che in piscina chatta e sullo sfondo si vede il figlioletto che sta affogando? A scene alquanto simili si assiste ogni giorno per la strada: di fondo c’è stanchezza, voglia di evadere, peso eccessivo e minore responsabilità morale, come se le mamme di oggi avessero più bisogno loro di una mamma, che di esserlo. Lo stesso vale per i padri. La dimenticanza degli oggetti è un primo segnale spesso inascoltato o addirittura giustificato con la paola stress, come se dirlo, perchè se ne sente tanto parlare, non signifchi assoulutamente niente. Di fatto, correre ai ripari è molto più difficile perché significa rinunciare a qualcosa, discutere con qualcuno, cambiare comportamenti e abitudini e spesso farsi valere sia al lavoro che in casa. Normalmente la gente reagisce allo stress urlando, litigando o mettendo i figli davanti alla tivù o al computer (per poi stressarsi di nuovo perché viene considerato sbagliato). Di fatto, il modo di reagire allo stress è spesso irrazionale, ma non arriva a livelli così elevati. Ho letto commenti di persone che dichiarano di aver dimenticato i figli al supermercato, a scuola o dalla nonna. C’è chi li perde sulle spiagge, nella calca di un centro commerciale, negli autogrill. Proprio dimenticati. Qual è la differenza con il dimenticare in auto senza il minimo ricordo della loro presenza e di un atto incompiuto (il lasciarli in mani accudenti e protettive come il nido)? Un profondo black out, non una dimenticanza di tre minuti: questi genitori hanno completamente rimosso i gesti fatti, che pure sono quotidiani, e non si chiedono per ore ed ore, non hanno nemmeno il dubbio, per ore ed ore, di aver saltato qualcosa, di non aver fatto qualcosa delle solite cose di ogni giorno. Perciò no, non può capitare a chiunque (e difatti si contano circa 500 in tutto il mondo automatizzato). Per quanto la amnesia dissociativa sia possibile e comune, non lo è la dimenticanza di un figlio per un tempo indefinito, e soprattutto in un luogo che tutti sappiamo assurdo, non fosse altro perchè viene lasciato solo. I gesti protettivi e accudenti, benchè siano ripetitivi, sono numerosi, e comportano relazioni umane non facilmente dimenticabili nè automatiche come percorrere una strada, la solita, immersi nei pensieri (la consegna del piccolo a qualcuno, per esempio). Perciò queste dimenticanze nascondono non solo alti livelli di stress, ma anche precedenti di emotività non espressa, di molti non detti, di sofferenze interiori trascurate, di divisione tra razionale ed emotivo troppo nette.
Il danno irreparabile è stato compiuto. Provare solo pietà e dolore, sentimenti che appartengono a tutte le persone empatiche e sensibili, però non aiuta ad evitare i prossimi. Le amnesie dissociative sono pericolose e spesso nascondono vere e proprie personalità dissociate che si manifestano proprio nei momenti di alto stress.

L’epoca delle passioni tristi

QUESTA INTERVISTA E’ STATA FATTA PRIMA DI CONOSCERE IL PENSIERO POLITICO DI SCARDOVELLI CHE, ESSENDO DI DESTRA POPULISTA E RAZZISTA, DEVE ESSERE ORA CONTESTUALIZZATO ESSENDO LA SOTTOSCRITTA ALL’EPOCA IN BUONA FEDE, IGNORANTE DELLE SUE IDEE CHE NON POSSONO MAI ESSERE DISGIUNTE DA CHI COMPIE ANALISI E LE DIVULGA. MI RICREDO TOTALMENTE E MI DISPIACE AVER SPESO SOLDI, TEMPO E AVER FATTO PROPAGANDA A CHI USA LA PSICOLOGIA E LA DIALETTICA PER INTERESSI POLITICI, OLTRETUTTO CON IDEE E PROGRAMMI ABERRANTI.
SOLO A FINE NOVEMBRE 2019 SCARDOVELLI HA RESO PUBBLICA LA SUA APPARTENENZA E IL SUO SOSTEGNO ATTIVO AL PARTITO VOX ITALIA, UNO DEI PARTITI EMERGENTI PIU’ DISPREZZATI (FONDATO NELLA SPAGNA CONSERVATRICE E MONARCHICA)DALLA SOTTOSCRITTA, CHE RITIENE ESSERE FONDAMENTALMENTE UN GRUPPO DI PERSONE FANATICHE. RICORDO ANCHE CHE FACEBOOK E WIKIPEDIA HANNO OSCURATO PAGINE E INFORMAZIONI DI VOX IN QUANTO ISTIGATORE DI ODIO.

Camogli (Genova), gennaio 2017

Dottor Scardovelli, cosa sta succedendo? Omicidi anche minorili, aggressività, rabbia diffusa. Sono aumentati i disturbi psichici?

“Il padre di famiglia che per tutti era buono, se fa qualcosa di grave lascia tutti stupiti. Dentro le persone ci sono nuclei psicotici non riconosciuti che improvvisamente vengono fuori. Escono in momenti storici, quando la pressione sulla psiche è abbastanza forte. Oggi il clima psicologico è completamente cambiato. Quando mi sono laureato io si andava verso un mondo di abbondanza, oggi il futuro per i ragazzi è una minaccia, le prospettive future sono sempre più nere, non ci si può fidare dei politici, a volte nemmeno dei medici, è una società agli estremi. E’ riconosciuto che questo periodo non c’è mai stato, è una crisi antropologica…tutto il sistema della finanza che domina il mondo… l'”Io” personale come vive questa faccenda? L’Io non è stabile, permanente. Dovrebbe essere costante nel tempo, ma quando l’Io diventa impotente nel mondo, questo senso di impotenza provoca una disgregazione della psiche. Cosa succede: la psiche tende a frantumarsi, ad andare in pezzi, qui le subpersonalità prendono forma e diminuisce la forza dell’Io, la ragione sugli impulsi. Gli impulsi umani non sono tutti socievoli: sono violenti, aggressivi, conosciuti da sempre nella storia umana come demoni, parti oscure”.

L’incontro con Mauro Scardovelli sul lungomare della graziosa cittadina di Camogli, provoca sussulti emotivi e domande a cascata. Genovese di nascita, docente di diritto, scrittore, psicoterapeuta per vent’anni e oggi formatore e ricercatore che appare pubblicamente solo nei seminari per divulgare i principi della filosofia umanista e dell’approccio sistemico ed olistico cui fortemente crede, ha una capacità di eloquio straordinaria, quella di chi ha empatia, passione e consapevolezza. La teoria delle subpersonalità – ricorda – è del fondatore della Psicosintesi, lo psichiatra veneziano Roberto Assagioli, classe 1888, un libero pensatore vicino alle teorie di Jung.

“Nella visione junghiana l’Io è una parte della psiche che, nel corso della crescita, diventa come un magnete in grado di coordinare e governare le diverse istanze della personalità, ognuna con i propri impulsi, spinte, desideri, bisogni. Parlando in modo estremamente semplificato, quando l’Io non si forma in modo sufficientemente stabile, o nei momenti della vita in cui perde la capacità di svolgere la sua funzione, si può assistere ad un improvviso ribaltamento interiore”.

Parliamo di narcisismo.

“La definizione di narcisismo in psicologia cognitiva dice: grandiosità, mancanza di empatia e paura del giudizio altrui. Questi sono tre degli aspetti più caratteristici, a cui si accompagnano normalmente: presunzione, arroganza e permalosità. Una persona che ha una subpersonaità narcisistica, non necessariamente è sempre guidata da questa subpersonalità: in certi contesti, situazioni e relazioni, può comportarsi in modo gentile e rispettoso. Per questo motivo, talvolta si dice: “non ti riconosco più, improvvisamente sei diventato un altro”. Non è che l’interlocutore si è trasformato, è diventato un altro: più semplicemente ha preso il potere un’altra subpersonalità. Alcune persone danno segnali frequenti di cambiamento, di umore e di modo di comportarsi. Altre persone sono più imprevedibili: magari esplodono all’improvviso anche dopo 20 o 30 anni”.

Quale è la differenza tra patologia e non patologia, nel narcisismo ad esempio.

“E’ un discorso ovviamente complesso e delicato. Sono abbastanza rare le persone davvero equilibrate. Di solito, o hanno avuto famiglie particolarmente armoniose ed equilibrate, o hanno imparato a gestire le loro subpersonalità. Per la mia formazione giuridica, tendo a vedere una similitudine piuttosto forte tra la struttura della personalità e la struttura della società, imprese governo con una costituzione governo Parlamento alla popolazione. Già Platone sosteneva che c’è una forte corrispondenza tra governo della polis e governo di sè. Dentro un paese ci sono tante componenti diverse che possono rimanere nell’ombra anche per tempi molto lunghi. Pensiamo alla Germania, uno dei paesi più civilizzati e colti al mondo che ha generato il nazismo”.

Che cosa si può fare di fronte a queste evidenze?

“Analisi sono state fatte, infinite, più o meno valide ed intelligenti. Oggi dobbiamo trovare soluzioni. L’umanità deve prendere in seria considerazione che è collettivamente malata. Pensa male, dice male, parla male. Dire male crea malattia fisica e sociale. Oggi siamo in tempi in cui si maledice molto e si benedice assai poco. Il pensiero umano è una risorsa, ma ci espone anche a una grande tragedia. Noi umani siamo gli unici esseri dotati di linguaggio, gli unici in grado di mentire, di essere inautentici, falsi. Mentre un gatto è guidato dagli istinti e si comporta necessariamente da gatto, in modo autentico, l’uomo può sentire e pensare in un modo e dire cose totalmente differenti. Noi esseri umani siamo Homo Sapiens ma anche Demens. Il linguaggio può essere utilizzato per raffinare le qualità dell’essere, ma anche per generare dei tremendi orrori. La tecnologia è un tesoro, e nello stesso tempo un pericolo che abbiamo in mano. Sta a noi decidere, collettivamente, il modo in cui utilizzarla”.

Ci spieghi cos’è l’empatia.

“Quando c’è molta distanza tra chi sta in cima e chi sotto, gli ultimi, quelli che occupano le posizioni più disagiate, sono visti come oggetti da chi sta in cima alla piramide. Maggiore è la distanza, minore è l’empatia. L’empatia è una risonanza tra gli esseri umani che ci fa sentire simili”.

E cos’è la sensibilità?

“Ci sono persone più sensibili alla sofferenza altrui ed altre meno. Ci sono persone più corazzate, più difese, che si proteggono di più. Sono persone così che più spesso salgono verso i gradi alti della scala sociale”.

Quanto incide la genetica?

“Assai meno di quanto siamo propensi a credere. Un ruolo determinante lo riveste l’educazione e la socializzazione ricevute nell’infanzia sulle quali cose è possibile intervenire, se si ha la forza politica per farlo”.

Nelle relazioni cosa succede? Perché spesso non capiamo l’altro?

“Perché non siamo educati all’empatia, alla risonanza con l’altro. Non alleniamo la nostra capacità di metterci nei suoi panni, di guardare il mondo dal suo punto di vista. Assai di frequente siamo proiettivi, cioè non osserviamo l’altro per come è, ma proiettiamo su di lui i nostri vissuti emotivi o un’immagine arbitraria che ci siamo costruiti, che non corrisponde alla realtà”.

Cosa pensa della psichiatria?

“Gran parte della psichiatria moderna ritiene che le sofferenze psicologiche si curino con i farmaci. Psichiatri fenomenologici, che per formazione hanno davvero imparato a risuonare con il paziente, ce ne sono pochi. E’ nella risonanza che si comprende l’unicità dell’altro, non attraverso modelli e teorie astratte. Noi siamo attrezzati biologicamente per risuonare con la complessità. Un gatto è in continua risonanza, ha le antenne sempre tese e decide di conseguenza come agire”.

Che sentimenti stiamo vivendo in questo periodo storico?

“Il compito dell’essere umano è raggiungere la sua pienezza. Oggi, nell’epoca delle passioni tristi, come è definita da alcuni autori, siamo più pessimisti sul fatto che i contesti attuali ci possano portare a una vita piena, in cui i nostri bisogni fondamentali siano soddisfatti. Il senso di impotenza che ci pervade, si collega a un senso di profonda ingiustizia. Qui origina gran parte del malcontento e della rabbia sociale”.

Restringiamo questo concetto al recente efferato delitto dei due minorenni ferraresi?

“Certamente, direi, non hanno avuto l’esperienza di essere stati visti, riconosciuti, compresi dai genitori o da altre figure di riferimento. Essere visti, dalla psiche infantile, è considerato qualcosa di naturale e di dovuto. Quando questo non accade, si genera il senso di ingiustizia e il conseguente desiderio-bisogno di punizione, che può rivolgersi contro gli altri o contro se stessi. La psiche infantile, come la psiche dei greci nel periodo che precede la rivoluzione socratica, non tiene conto dell’elemento soggettivo, cioè non tiene conto delle ragioni che possono aver indotto i genitori o gli altri a comportarsi in modo distorto”.

Siamo esseri relazionali, diceva. In un senso più generale e non strettamente familiare, come incidono gli altri su di noi nella società in cui stiamo vivendo?

“Noi siamo come gli altri ci hanno fatto, diceva Sartre. In altri termini siamo il prodotto delle innumerevoli relazioni che abbiamo vissuto e che stiamo vivendo. Sta a noi l’arduo compito di discernere ciò che è autenticamente nostro e ciò che è frutto di condizionamento ricevuto. Si tratta di un lavoro che dura tutta la vita. Conosci te stesso, diceva ‘oracolo di Delfi, e conoscerai te stesso e Dio. E questa è una buona notizia”.

Ora faccio quello che voglio

Ero confuso, non capivo bene i miei sentimenti

In due anni e sette mesi di relazione e convivenza?

All’inizio ero in una bolla dorata, a un certo punto si è rotta e non sono riuscito più a risollevarmi

Dopo la rottura della bolla, come dici tu, hai però cominciato a nascondere. Hai mentito, tradito la fiducia. Insomma non l’hai mai detto

Sono sleale, lo so

Stavi sempre zitto o approvavi o fingevi sottomissione

Non è che fingevo, all’inizio non avevo argomenti per controbattere, mi sembrava tutto giusto.

Non hai una personalità?

Mi lascio molto influenzare dalle persone

Ora mi sembri uno che sa quello che vuole

Mi sento più forte, ho capito che non sono matto, ho avuto riscontri positivi

E come mai prima non li avevi?

Non volevo tornare dai miei da perdente, fallito. Ero insicuro.

Avevi il terrore di essere lasciato?

Per molto tempo l’ho avuto, poi mi sono abituato a sentirmi dire ti lascio

La tua confusione però non l’hai mai espressa a voce, nonostante ti venisse richiesto continuamente di prendere decisioni. Insomma, o dentro o fuori.

Non sapevo cosa fare. Avevo paura di sbagliare

Senti, mi sembra che tu non abbia mai pagato i tuoi errori.

Mi sono appoggiato molto nella vita, è vero. Ma adesso non più

Adesso da quando?

Da quando ho visto che me la so cavare da solo

Bè, da solo….i tuoi ti pagano la casa e ti sei trovato subito un’altra che ti sostiene e anche lei ti ha dato lavoro…

Mi sono confrontato con i creativi, nessuno ce la fa senza aiuto economico. E lei l’ho trovata per caso

Insomma, per caso… Hai detto che facevi quello che volevi e l’hai fatto

Non volevo più soffrire. Volevo voltare pagina

Naturale…ma per la prima volta hai detto un bel no agli accordi a una a cui hai detto sempre sì. Si chiama inganno…

Io credo di aver pagato abbastanza sentendomi schiacciato

Però ti facevi schiacciare. Potevi ribellarti, andartene, parlarne. C’era un secondo fine?

Mi sono sentito trattato male, non riconosciuto.

Te lo sei tenuto per te, però.

Coi caratteri forti non riesco a farmi valere

La colpa è dei caratteri forti quindi?

No. Ma è così

Hai scelto un carattere forte e poi dici che ti schiacciava. Qualcosa non quadra…

Ora sono maturato

In due mesi sei maturato…che record!

Ho capito che non sono un bambino.

E come l’hai capito?

Ho successo, mi apprezzano, guadagno, lavoro e nessuno mi critica

Come sai la gente normalmente si fa gli affari suoi e tace piuttosto che dire quello che pensa di una persona. Per convenienza, proprio come fai tu. Ma tu hai fatto di peggio per un tempo lunghissimo: hai ingannato una persona che ti voleva un sacco di bene e non capiva chi eri, chi sei. L’ambiguità è tremenda…uccide dentro.

Io ho già pagato soffrendo durante il rapporto. E’ storia passata

Allora, vediamo. Secondo te le relazioni che non funzionano si esauriscono quando finiscono. Senza responsabilità?

Mi son preso delle colpe ma adesso sono migliore

Eggià, con gli altri…Se sicuro di essere migliore sapendo che hai devastato una persona e fregandotene?

Sapevo che sarebbe stato un trauma, lo è stato anche per me. Ma io sono maschio e giovane. E comunque ancora ne soffro

Detto così, sembra assolutamente logico. Peccato che non lo sia. Peccato per te dico. Posso fare una sintesi? Hai detto sempre sì e a un certo punto hai detto un bel no, non mi sottometto più. Perfetto, è una cosa giusta e doverosa. Ma purtroppo hai detto no solo quando non avevi più bisogno. Facile e da vigliacchi…

Se devo pagare pago. Ma cosa devo pagare? Non è colpa mia se io sono riuscito ad andare avanti.

Sei andato avanti in modo perverso. Togliendo tutti gli spazi che non erano tuoi, rubando progetti e idee pur di fare quello che volevi e raggiungere i tuoi scopi ben precedenti alla tua relazione. Ha comportato un danno enorme!

La mia vita non può cambiare.

La tua vita è andata tutta così…rubacchiare, appoggiarsi, pretendere, sottomettersi se necessario e ribellarsi senza dirlo.

Ora non ne ho più bisogno

Sicuro?

Mi sento insoddisfatto, ma aiuto le persone.

Tutti meno una…

Non devo più niente. Ora sono forte

Appena  ne hai avuto l’occasione hai schiacciato tu..

Tutti mi hanno dato ragione

Tutti meno una…quella che sa come ti sei comportato con lei (e anche prima di lei)

Ho spiegato, ho chiesto scusa. Non pensavo fosse così grave

Veramente lo sapevi. Hai scelto di fregartene, come fanno tanti, per carità. Non sei l’unico.

Sono stato trattato male. E comunque ora sono diverso. Sono qualcuno.

Hai trattato male anche tu. Chi mente senza dare la possibilità all’altro di capire è un po’ farabutto. Chi truffa, fa la vittima, mente e nasconde i suoi veri progetti silenziosamente, memorizza tutto per usarli quando sarà libero…. Come lo chiami?

Ora non mento più

Eggià. E il passato si cancella con un colpo di spugna. Ero confuso, ecc. ecc. Le truffe sentimentali sono le peggiori e anche questo sai benissimo, ma siccome non l’hai mai provato sulla tua pelle….

Io cancello le persone che mi hanno fatto del male. Provo risentimento ma poi mi passa dopo qualche mese.

Ma le persone che hanno ricevuto male e continuano a riceverlo non sono te…

Non ci posso fare niente. Sono egoista.

Sei riuscito a dire a distanza di un anno che vuoi aiutare e ti sei messo a dare consigli non richiesti. Sei molto abile a non fare quello che andrebbe fatto per riparare, ma soprattutto per non ferire ulteriormente.

Se l’altro soffre non è colpa mia, è solo sua. Io sono andato avanti.

E’ un modo di pensare ricorrente, direi giustificativo. Invece ci sono diritti e doveri etici, a volte anche risvolti penali. Tipo usare per avere successo professionale i progetti inventati per amore, dell’altro ovviamente.

Non eravamo sposati.  E quei progetti mi sono piaciuti, ora sono miei.

Però volevi sposarti, o lo dicevi per il quieto vivere, cioè prolungare l’inganno.

Ho cercato di non provocare conflitti ulteriori

Ammazza…usare il matrimonio per non provocare conflitti? A te forse…

Ora sono cambiato. Sono maturato e non faccio più questi errori

Li hai fatti, ne resti responsabile. E comunque chi sa fare certe cose  (i documenti del matrimonio per mettere a tacere l’altro) non è una bella persona e non maturerà mai finchè non capisce fino in fondo quello che ha fatto e trova il modo per riparare, non certo chiedendo solo scusa o comportandosi meglio con un’altra (che oltretutto non dà nessun peso a quello che uno ha fatto prima).

Io sono disponibile a limitarmi un po’.

Dopo un anno e solo perché ti è stato richiesto e avevi paura delle conseguenze.

Ho sempre avuto paura, ma non di tutti. Di chi limita la mia libertà.

Si può dire la stessa cosa di te…

Non faccio niente di male

Non fai niente apparentemente. Nessuno può accusarti. Basta dire che hai amato ed è finita. Cavolo se sei furbo!

Ho riconosciuto i meriti.

Mi sa che leggi tante cose su internet e cerchi di avere ragione. E i meriti li hai riconosciuti per mail privatamente per paura e non certo pubblicamente per diritto di crediti come si dice in gergo fotografico che ben conosci e rivendichi.

Sono maturato, te l’ho detto.

Sai che chi cerca la verità potrebbe anche avere torto marcio? La trova solo dentro di sé, non nei consigli degli altri che normalmente sono anche interessati a dare la ragione…e soprattutto che niente sanno delle tue idee “geniali” che non sono nemmeno tue.

Io so che abbiamo sbagliato in due.

Anche questa è una affermazione che chiude il discorso. Peccato che il discorso  sia ancora ampiamente aperto. Tu hai tolto, non dato. E continui a togliere aprendoti spazi che non hai conquistato da solo ma attraverso le donne, dalla mamma alle fidanzate. Che orrore!

Ho lavorato sodo invece e ho dimostrato di essere in gamba. Se sono arrivato in alto è perché altri mi hanno aiutato ma il resto è merito mio.

Scusa, ma tu come hai aiutato gli altri?

Curando i rapporti

E come?

Aiutando, stando vicino.

Tipo separare la spazzatura, fare l’autista, portare le valigie,  pulire il bagno, fotografare, adulare e adesso addirittura insegnare tango per fare un piacere? Ma fammi il piacere!

Se la vedi così… per me è amore

Amore è una parola importante. Chi ha amato non smette di provare dolore se l’altro soffre molto. Si può chiamare empatia o compassione, ma viene sempre da un sentimento profondo. Dici di non aver dimenticato…

Non dimentico, no. Ma vivo un’altra vita. E voglio essere felice in questa vita. Ne ho diritto.

Non si può essere felici sapendo che hai combinato guai grossi per egoismo e vendetta e senso del diritto negato (da chi poi, boh!)

In amore non si compiono errori, per questo è così difficile trovare un modo per riparare. Ma chi ha il senso del diritto e usa tutti i metodi per ottenere, se cammin facendo compie danni emotivi, deve pagare.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 
Ps: questa è una storia vera.
Precedenti post: Sono fatto così per colpa del bullismo. Rubo, però poco.

La sofferenza

C’è una predisposizione genetica alla sofferenza? Diciamo che ce n’è una alla sensibilità e- si sostiene – chi più è sensibile, più prova emozioni intense. La chiamano addirittura ipersensibilità, sinonimo di intelligenza emotiva che spesso si traduce, nei fatti, in uno scarso adattamento al bombardamento  di chi recepisce ogni input proveniente dall’esterno senza filtri. Occorrerebbe una sorta di corazza da aprire e chiudere a piacimento con una cerniera lampo, parola giusta (lampo) perché le emozioni arrivano proprio in questo modo alle persone ultrasensibili. Emozionarsi e “sentire” intensamente ha il suo lato piacevole e probabilmente è proprio questo a non fare in modo che una sorta di blocco emotivo nella primissima infanzia, impedisca il superplus emozionale che è tanto elevato nel positivo quanto nel negativo e cioè l’intensa sofferenza.

Inutile stare a dire che il dolore è proporzionalmente superiore alla gioia man mano che si cresce e man mano che la sensibilità aumenta con l’esperienza relazionale col mondo, gli amici, i familiari, gli amori. Le persone altamente sensibili percepiscono spesso in anticipo gli eventi, non come preveggenza, ma come una abitudine a “sentire” profondamente e ne ricordano più le esperienze dolorose di tale sensibilità di quelle piacevoli. Diventa perciò una sorta di sofferenza anticipatoria che a volte è reale e a volte no, a volte spaventa senza motivo e a volte ci azzecca: il  motivo c’era!

Ma lo si capisce soltanto a posteriori, quando ormai la volontà o la razionalità hanno avuto il sopravvento per difendersi da un possibile dolore già sperimentato anche se sotto diverse forme e per motivi del tutto diversi. Chi ha vissuto gravi malattie dolorose dal punto di vista fisico e psicologico, sa che non avrà mai più pace interiore perché avrà conosciuto irrimediabilmente la paura del dolore che non è controllabile nella malattia o negli eventi che non dipendono dalla nostra volontà.
Non ci sono, purtroppo, alternative: o si accetta di essere così e si apprende a dare spazio ai ricordi emotivi belli più che a quelli brutti, o la sofferenza avrà sempre la meglio. Essere sensibili e ultrasensibili è un dono, non può diventare una condanna.
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